giovedì 14 febbraio 2008

Ti spremo e ti butto via


Ieri sono entrata in una pasticceria della zona del santuario, vicino al museo archeologico che custodisce la Venere Landolina. La zona, nel centro della città nuova, è ricca di parchi e giardini, da cui spuntano esuberanti piante di agrumi cariche di frutti come alberi di natale, e nell’aria si diffonde il profumo dolce delle zagare.
Nello scegliere la pasticceria, ero stata attirata dai cartelli accanto all’ingresso: frullati, granite di produzione propria, spremute. Entro, e già pregustandola chiedo una spremuta di arance: siamo in febbraio, fa freddo, facciamo scorta di vitamina C, mi dico. Un barista indolente, prende uno spremiagrumi di plastica, presumo comprato a 1 euro su un banco al mercato, e inizia a spremere un’arancia moscia e ammaccata: si accorge che è guasta e la butta via con gesto plateale mentre io lo guardo perplessa. Ne prende un’altra, sempre moscia e rinsecchita, comincia a spremere, ma anche questa mostra venature marroncine nella polpa, e la fa volare nella pattumiera. Con la terza arancia va meglio, è bruttina a vedersi ma sembra commestibile, e spreme. Alla fine riesce a servirmi qualcosa che posso definire spremuta di arancia. Esco dal locale sconcertata: mi trovo nella regione che produce le migliori arance del Mediterraneo, al mercato costano 50 centesimi al chilo e sono bellissime, grandi da non credere, dolci e squisite, sono uno dei tesori della Sicilia. Ancora una volta, il divario tra le aspettative e la realtà si fa incomprensibile.

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