giovedì 26 febbraio 2009

Alla tavola di Yasmina


Alla tavola di Yasmina- Sette storie e cinquanta ricette di Sicilia al profumo d'Arabia di Serge Quadruppani e Maruzza Loria, introduzione di Andrea Camilleri.
Questo libro è per me un po’ un talismano: lo rileggo nel corso degli anni, le sue storie sono scritte con una sensualità che mi incanta, sono come fiabe dall’atmosfera magica, ma per adulti. Yasmina racconta l’origine degli ingredienti e delle ricette portati dagli arabi in Sicilia, e che ancora oggi rendono prelibata la cucina dell'isola: il sorbetto, o sharbat in arabo, progenitore dei gelati, fatto con la neve dei monti Nebrodi; la cassata, o qas’ at, dal nome del recipiente usato per contenerla; gli arancini, le sarde a beccafico e il cacio all’argentiera; ogni ricetta è raccontata in modo incantevole, leggendo sembra di poter sentire i profumi sprigionati da questi piatti incantevoli usati da Yasmina per inebriare e soggiogare il principe Ruggero.

Dall’introduzione del libro:

Nella Sicilia dell'XI secolo, dominata dai normanni, Omar Ibn Khalid è arrestato per alto tradimento e condannato a morte. Nel tentativo di salvarlo sua sorella Yasmina si fa novella Shahrazàd e, come l'eroina delle "Mille e una notte", seduce il sovrano Ruggero I con i suoi racconti e ancor più con la sua cucina: cannoli, granite al cedro, caponate di melanzane, cuscus di pesce... Questo volume, scritto da un celebre giallista francese (ma siciliano d'adozione) e da una siciliana trapiantata a Roma, ci svela i segreti delle antiche tradizioni culinarie palermitane, ricche dei profumi e del sole di Sicilia e d'Arabia. Storie e ricette, fa notare Andrea Camilleri nell'Introduzione, "tra loro strettamente s'intrecciano, si impastano, si amalgamano, cotte nel bollore della fantasia, dell'arguzia, della pura invenzione e infine condite con una piacevolissima scrittura che ha un che di piccante e di speziato".

martedì 24 febbraio 2009

Un ristorante alla…Montalbano






Sono una fan di Andrea Camilleri, ho letto tutti i suoi libri e non me ne perdo uno del commissario Montalbano. Ho iniziato a leggerlo quando vivevo a Ferrara, e ancora non potevo immaginare di trasferirmi un giorno in Sicilia. A volte ho la sensazione di vivere sul set della serie TV, e di veder spuntare da un momento all’altro personaggi come Catarella o Fazio. Questo è il terzo inverno qui sull’isola, ma ancora mi meraviglio di poter pranzare all’aperto. Il ristorante i Rizzari (pescatori di ricci?), suggerito dall’amico chef Massimo Tringali, è stato una felice scoperta; piacerebbe anche a Montalbano. Su uno scoglio a due passi dalle onde, pochi tavolini apparecchiati in modo rustico di fronte ad un attracco di barche di pescatori annunciano la freschezza del pesce che verrà servito. Tenero polpo al tagliere con cacio ubriaco, tonno con sugo pomodoro e menta alla lanterna con crostini da intingere, paccheri al sugo di cernia, casarecce con ragù di triglie, frittura di paranza e grigliata di crostacei cotta nel camino a legna. Per il vino, scegliamo uno Sharada. E se non fosse abbastanza, come dessert cioccolato di Modica accompagnato da rum.
Ci abbandoniamo inebriati all’abbraccio del mare.

sabato 7 febbraio 2009

L'isola iniziatica


“L' Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell' anima: qui è la chiave di tutto"

La frase di Goethe mi colpisce e affascina con il suo mistero : qual è la chiave a cui si riferisce? La sua storia millenaria, o il suo trovarsi al centro del Mediterraneo? O nel contenere nella sua essenza il fuoco dei vulcani, l’acqua delle sorgenti , il vento e la fertile terra? E che cosa mi ha attratta, su quest’isola, da farmi lasciare casa, amici, e tutti i miei orizzonti conosciuti? Avevo voglia di avere un paesaggio intorno a me, un paesaggio naturale e cangiante che la piattezza di pianura non può dare. E volevo vivere una vita diversa da quella di sempre, sentire parlare la gente in modo diverso, nutrirmi di altri colori, sapori, profumi. Ho trovato tutto questo, insieme a mille contraddizioni che fanno da specchio a quelle che porto dentro.

sabato 31 gennaio 2009

Il mare d'inverno




I colori del mare sono irresistibili, viene voglia di tuffarsi, ma so che l'acqua è fredda e non ne ho il coraggio. Qualche turista nord europeo, meno pavido di me, affronta con disinvoltura l’abbraccio gelido delle onde, sotto il mio sguardo un po’ invidioso. Io mi accontento di farmi abbagliare dal sole, finalmente dopo tanta pioggia. Seguendo il sentiero sulla scogliera, ammiro le fioriture che si susseguono anche in inverno, assaggio qualche bacca di mirto che potrei usare per fare un liquore, respiro questo profumo di terra speziata che sa di liquirizia e cannella. E mi incanto a guardare i colori di questo mare, di cui non sono mai sazia.




mercoledì 21 gennaio 2009

L'inverno che non c'è




Com’è l’inverno in Sicilia? Io di inverni sull’isola ne ho trascorsi tre, il primo straordinariamente mite, del tipo che si pranzava in terrazza all’aperto fino a metà dicembre (ops, metà dicembre è ancora autunno!). Ma quel che mi sconvolge, rispetto al paesaggio di pianura padana, è il fatto che gli alberi non perdono le foglie, le buganvillee sono coperte di fiori più che in estate, lungo tutte le strade crescono piccoli fiorellini infestanti di color giallo limone. Sulla scogliera i prati sono punteggiati da iris nani color blu intenso, e gli aranceti sono carichi di frutti come alberi di Natale. La Sicilia orientale, cioè la costa che si affaccia sullo Ionio e va da Messina a Siracusa, in inverno è molto piovosa, e molto vuol dire che “piove con l’idrante”, sembra di stare sotto una cascata, le strade si allagano, i torrenti si trasformano in fiumi e tracimano, le montagne a volte franano. E piove per giorni, pare di vivere nel romanzo Cent’anni di solitudine, e che la pioggia non smetterà mai. Poi all’improvviso il vento cala, il mare si placa e torna blu, e i fiori tornano a colorare le strade e i muri di cinta dei giardini.

sabato 10 gennaio 2009

Con i piedi in due scarpe...


E’ come se nella mia vita camminassi con due diverse scarpe: in un piede un paio di scarponcini da trekking con cui percorro i sentieri della Sicilia, nell’altro piede uno stivale con tacco con cui mi avvio dondolante tra i vicoli acciottolati di Ferrara. A colmare le distanze, l’aereo Catania-Bologna che ormai è diventato il mio mezzo di trasporto preferito. Non nascondo che sia faticoso, e anche dispendioso, questo modo di vivere, ma a volte sento di avere il doppio delle possibilità. Doppia casa, tanti amici, paesaggi urbani molto diversi, un giorno mangio sarde e pistacchio all’aperto in riva al mare, il giorno dopo tagliatelle al ragù nel tepore della mia mansardina. Un giorno vivo sul set di Montalbano, l’altro su quello di Nebbie e delitti. Non esiste un meglio e un peggio, solo due modi di vivere diversi

martedì 21 ottobre 2008

La Sicilia nel mortaio


Bella idea quella sul blog di fiordisale (www.fiordisale.it) di lanciare un concorso al miglior pesto. Non posso rinunciare a partecipare con due pesti al profumo di Sicilia.
Pesto siracusano
Questo pesto mi ricorda il profumo della costa siciliana, quando, ancora sul ponte del traghetto, il vento porta l’aroma delle erbe selvatiche che si mescola al sentore speziato della terra.
Ingredienti:
Timo fresco, possibilmente selvatico, pomodorini di Pachino secchi, mandorle di Avola non spellate, ricotta stagionata grattugiata, un pizzico di cannella e di noce moscata, olio extravergine d’oliva, sale.
Far rinvenire i pomodorini secchi in poca acqua tiepida, lasciarli scolare per mezz’ora in un colino. Nel mortaio, pestare i pomodorini con le mandorle e il timo, emulsionare con l’olio, aggiungere con moderazione un pizzico di spezie e terminare con la ricotta stagionata grattugiata. Eventualmente aggiustare di sale dopo aver assaggiato (ricotta e pomodorini sono molto saporiti).
Pesto dolce “Sole di Sicilia”
Questa è una mia divagazione sul tema pesti, da vera golosa di pasticceria siciliana. Si usa questo pesto per accompagnare una panna cotta, un biancomangiare o un sformatino di ricotta, o una semplice ricotta fresca accompagnata da fichi maturi.
Ingredienti:
Mandorle di Avola non spellate e pistacchi di Bronte, miele di zagara dei Monti Iblei, scorza d’arancia grattugiata.
Tostare mandorle e pistacchi in una padella antiaderente per qualche minuto, quando sprigionano il loro profumo spegnere, disporre su un vassoio e lasciar raffreddare. Nel mortaio, pestare grossolanamente le mandorle e i pistacchi, che devono rimanere “riconoscibili”, versare in una ciotola, unire il miele di zagara fluido, profumare con la scorza d’arancia. Per ottenere una scorza a scagliette profumate e non una poltiglia, consiglio l’uso di grattugie Microplane.

venerdì 18 aprile 2008

Fioriture sulla scogliera






Esplorando la costa a sud di Siracusa, tra la penisola della Maddalena e l'area marina protetta del Plemmirio, mi lascio incantare da queste stupefacenti fioriture.

lunedì 31 marzo 2008

Qui si fanno le tragedie greche



Orestiade di Eschilo al Teatro Greco di Siracusa, 8 maggio-22 giugno 2008. Il XLIV Ciclo di Rappresentazioni Classiche siglate INDA porta sulla scena del Teatro Greco di Siracusa l’intera trilogia di Eschilo.
Eschilo viene considerato il vero padre della tragedia antica. Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita l'introduzione di maschera e coturni, inoltre è con lui che prende l'avvio la trilogia, o "trilogia legata". Le tre opere tragiche presentate durante l'agone erano appunto "legate" dal punto di vista contenutistico; nell'Orestea (unica trilogia pervenutaci per intero), ad esempio, viene messa in scena la saga della stirpe degli Atridi, dall'uccisione di Agamennone alla liberazione finale del matricida Oreste. Introducendo un secondo attore (precedentemente, infatti, sulla scena compariva un solo attore alla volta, come ci testimonia Aristotele, Poetica, 49a), rese possibile la drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti possibile esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che monologhi, aumentando il coinvolgimento emotivo del pubblico e la complessità espressiva (tratto da Wikipedia).

Il primo giorno, l’8 maggio, sarà rappresentata la tragedia Agamennone, seguiranno, il 9 maggio, Coefore e Eumenidi, messe in scena lo stesso giorno in sequenza.
Per informazioni sul calendario e la biglietteria è possibile chiamare il numero verde
800 542 644 o consultare il sito http://www.indafondazione.org

giovedì 27 marzo 2008

Invito a cena con...lo chef

Nella cornice dell’ottocentesco palazzo Giaracà, affacciato sul Porto Grande di Siracusa, si respira l’atmosfera dei fasti di un tempo. Le grandi sale affacciate sul cortile interno, ora sormontato da una cupola di vetro, le pareti in rosso pompeiano sottolineate da archi in pietra calcarea chiara, gli ampi tavoli rotondi apparecchiati con lunghe tovaglie ci catapultano in una scena da Gattopardo. Per contrappunto, due giovanissimi chef, Massimo Tringali e Carmelo Brancato, promesse della nuova cucina siracusana, ci conducono con entusiasmo e passione alla scoperta del loro menù ispirato alla sinfonia dei contrasti. Contrasti armoniosi tra dolce e salato, tra colori e consistenze che regalano inaspettate emozioni plurisensoriali. Ospitano lo chef Maurizio Urso, siciliano di origine, formato al nord: il Trentino, sua seconda patria, la Lombardia presso Gualtiero Marchesi e il Veneto. Lo chef fa grande uso di erbe aromatiche ed erbe selvatiche raccolte da lui stesso nei generosi prati siciliani, erbe che hanno anche una funzione digestiva grazie ai loro olii essenziali: ad es. il ricco ragù bolognese viene intriso di profumi mediterranei grazie al trito di timo, basilico, aglio, salvia, rosmarino.
Urso è un grande appassionato di fiori eduli come il fiore di albicocco, l’acetosella, la borragine, il tarassaco, il geranio, la calendula, che sotto il sole di Sicila assumono colori molto intensi. Ci regala qualche trucco insolito: le foglie di geranio limoncello, molto aromatiche, possono essere usate per profumare una crema al posto della scorza di limone. I suoi piatti, ricchi di fiori ed erbe, sono bellissimi da guardare.
Massimo è un perfetto istrione e coinvolge la platea raccontando in modo suggestivo la creazione dei piatti. Ama cucinare a ritmo di musica, ed evocare ricordi d’infanzia diffondendo nella sala il profumo dell’erba appena tagliata o di crema alla vaniglia. Alla fine della cena, coccola i suoi commensali con salviette calde profumate alla zagara, mentre Carmelo serve biscotti alla camomilla e crema profumata dello stesso fiore per augurare la buona notte. Di sicuro una notte magica nelle fascinose sale di una antica dimora.

giovedì 20 marzo 2008

Sulle trazzère dei Monti Iblei







Finalmente una domenica bellissima, clima da primavera inoltrata, fioriture magnifiche e tanta voglia di wilderness. Partiamo con panini e fotocamera nello zaino, appuntamento a Noto Antica con il gruppo escursionistico Kalura. Gente che ama camminare nella natura, lentamente, in relax e senza competizione sportiva, per il gusto di stare nella natura e incontrare persone. Si chiacchiera molto, dato che il percorso è agevole, e ci si conosce. Molti ci chiedono da dove veniamo, e si fanno commenti sulle diversità della nostra penisola: mentalità, modi di vedere le cose, aspettative. Lo scambio di idee non è semplice ma sempre molto interessante. Intanto, dopo aver percorso una trazzèra (antica strada di collegamento tra paesi e campagne) ci immergiamo in un bosco di querce e poi saliamo in cima ad un crinale roccioso trapuntato di cespugli di erica rosa. Sotto di noi si apre un profondo canyon, o meglio una profonda cava come si dice qui, scavato nella roccia calcarea. Nella cava scorre il fiume Cassibile che a tratti forma laghetti incantevoli, meta dei nostri tuffi estivi dopo una passeggiata nella natura selvaggia.
Scendiamo verso il fondovalle fino a incontrare il fiume, e in un ampio prato al sole facciamo la nostra pausa pranzo a base di impanate (una specie di focaccia tipica di Modica). Anche i sapori sono diversi da quelli di casa, e mi piace questo scoprire continuamente cose nuove. Il cammino prosegue lungo una strada di campagna, sui prati pascolano pigramente le mucche brucando le fresche erbette primaverili. Molti pastori preparano la ricotta tutte le sere, con il latte appena munto, e qui si usa mangiarla calda, appena fatta. Immancabilmente, alla fine di una giornata di escursione, facciamo una sosta nel bar del paese, in questo caso a Noto. Sarà la camminata e il bisogno di ristorarsi, ci fiondiamo tutti al bancone della pasticceria e ordiniamo a più ondate cannoli di ricotta e gelati alla mandorla e al pistacchio. Un indirizzo da non perdere a Noto: lo storico Caffè Sicilia, gelati meravigliosi e insoliti con un tocco di spezie, dolci che riscoprono le antiche tradizioni, granite che mandano in estasi. Impossibile resistere!

giovedì 13 marzo 2008

Il lungo inverno sull’isola


Quest’anno l’inverno è stato lungo, noioso e pigro. Ero abituata a città più stimolanti di Siracusa, e questo secondo inverno in Sicilia mi ha fatta cadere in letargo, in attesa che la primavera mi porti la voglia di uscire e fare. I cittadini come me che sognano la vita su di un’isola devono fare i conti con la noia invernale, il prezzo da pagare per vivere qui. In città ci sono solo 3 cinema, cioè tre sale (il multiplex non è ancora arrivato, occorre spostarsi a Catania) e somigliano alle sale dei cinema parrocchiali, piccole e con arredi vecchiotti. In Ortigia, cioè il centro storico di Siracusa, fino all’anno scorso c’era una piccola sala in condizioni penose, ora chiusa, speriamo la stiano ristrutturando. Il teatro comunale di Ortigia, mi dicono molto bello, è chiuso da decenni per restauro ma non vedo un cenno di avanzamento dei lavori. Quindi niente teatro. Locali per sentire musica dal vivo: pochi e con programmi scadenti. Qualche concerto alla sala Amici della musica, ma trovare qualcosa di interessante è un evento (ad esempio, bellissimo il concerto del giovane pianista cubano Roberto Fonseca, due ore di immersione nei ritmi caraibici contaminati da atmosfere orientali). Non ci sono pub o circoli carini dove passare la serata con giochi di società o chiacchierando con gli amici. Quando sono in vena, organizzo cene a casa che mi impegnano per giorni tra preparativi, stesura del menù, scelta di amici che possano stare bene insieme (non sono una che improvvisa la spaghettata, ma mi sforzerò di provarci). Non ho mai letto tanti libri come in queste serate invernali, la tivù è inguardabile e i programmi finiscono troppo tardi per me che mi alzo alle sei del mattino. Non vedo l’ora che arrivi l’estate, per stendermi di sera in giardino e guardare le stelle.

venerdì 7 marzo 2008

La mia palestra open-air



Qualche giorno fa, complice il clima mite e la voglia di risvegliarmi dal torpore invernale, ho ripreso a correre vicino al mare. C’è un posto meraviglioso che si chiama Arenella, a pochi chilometri da casa, ci potrei andare in bici ma facciamo un passo alla volta. Attraverso la spiaggia, salgo sul promontorio piatto circondato dal mare e mi trovo su un percorso ad anello in parte in terra battuta e in parte di sassi e cemento. L’anello si snoda tra la macchia mediterranea e vasti prati di graminacee alte fino alla vita. Durante tutto l’anno si avvicendano fioriture di vari colori, e in alcuni angoli si percepiscono intensi profumi di spezie, liquirizia, cannella, ma non sono riuscita a scoprire quali piante li diffondano. Mi scaldo i muscoli con un po’ di stretching e comincio a correre. L’aria trasparente e tiepida sulla pelle, il profumo del mare, i colori della terra mi fanno stare così bene che non sento la fatica della corsa, ad ogni curva il paesaggio cambia e resto incantata dalla bellezza di ciò che mi circonda. Mi sento fortunata ad avere una palestra così bella, e la primavera è la stagione ideale per correre prima che l’estate renda il caldo insopportabile. Finita la corsa, verrebbe voglia di tuffarsi in mare, ma la temperatura dell’acqua mi fa desistere: due turiste straniere strillano per il freddo delle onde a cui non hanno saputo resistere. Coraggiose. Io aspetto ancora un po’. Se poi decido di arrivare qui in bici, correre e poi tuffarmi a mare, ne viene fuori quasi una sessione di triathlon!

sabato 1 marzo 2008

I frutti del sole


Per la prima volta nella mia vita scopro il piacere di avere un giardino, e con alberi da frutto per giunta. Questa è la terra degli agrumi, che colorano le campagne nel periodo invernale con i loro frutti vitaminici, sembrano alberi di natale carichi di palline colorate. E’ meraviglioso andare in giardino a raccogliere le arance per la spremuta. Sono dolcissime, bionde, e finiscono spesso in insalata con finocchi, cipolla rossa e un tocco di peperoncino. Sono arance biologiche, quindi si può usare anche la buccia, seccata e tritata, che serve a profumare i dolci oppure ad aromatizzare il condimento per l’insalata, il pesce, le crepes e perfino il caffè.
Per riscaldare i pomeriggi invernali, soprattutto quelli piovosi, preparo un tè accompagnato da un plum cake all’arancia: frullo poi secondi 250 grammi di zucchero con la scorza di un’arancia, apro il coperchio del frullatore e mi lascio inebriare per un attimo, poi aggiungo 170 grammi di burro morbido, 4 uova e mescolo con energia. Unisco 250 grammi di farina setacciata, 50 grammi di latte, il succo dell’arancia e 1 bustina di lievito per dolci. Verso nello stampo per plum cake e passo in forno a 170 gradi per 40 minuti (oppure negli stampini per muffins per 15-20 minuti).

Lo chef siciliano Filippo La Mantia ha fatto degli agrumi il cardine della sua cucina solare e profumata: per chi vuole scoprire i suoi segreti, basta visitare il sito www.filippolamantia.com ……

giovedì 21 febbraio 2008

Una baia bellissima





Il Porto grande di Siracusa è una baia bellissima, uno dei porti naturali più grandi d’Italia e d’Europa, e camminando sulle sue rive la sua forma circolare lo fa sembrare in grande lago. Ad una estremità della baia sorge l’isola di Ortigia, prescelta come approdo dai greci nel 735 a.C. Ortigia è un isolotto di forma allungata che si protende verso il mare e affonda tra le onde con il bastione del Castello Maniace, come la prua di una nave di roccia color miele. I colori della baia sono delicati come un acquerello: il mare blu chiaro, il cielo azzurro pastello, i palazzi di Ortigia color sabbia. Questo è il panorama della strada che mi porta a casa, e dopo mesi che percorro la stessa strada mi stupisco ogni volta per la bellezza del paesaggio. Di fronte all’isola di Ortigia la terraferma prende la forma di una penisola dalle coste rocciose a picco sul mare. Sull’estremità della penisola della Maddelena, così si chiama, sorge il faro di Capo Murro di Porco (non so il perché di questo nome, indagherò) nel cuore dell’area marina protetta del Plemmirio. Passeggiando in una delle rare e nascoste spiagge, si possono raccogliere conchiglie sorprendenti, grandi e di colori molto intensi. Le scogliere della Maddalena sono ambienti solitari e selvaggi, l’accesso al mare non è né comodo né semplice e così io e Corto (soprannome che L. si è guadagnato per la sua passione per Corto Maltese e per le barche) ci divertiamo a sentirci esploratori. Camminando in equilibrio tra le rocce, ascoltiamo il ruggito del mare in fondo alla scogliera, scopriamo una grotta abitata da rondini, raccogliamo bacche di mirto ed erbe selvatiche. Abbiamo trovato il nostro angolo di paradiso.

giovedì 14 febbraio 2008

M'illumino di meno


Venerdì 15 febbraio sarà la giornata del risparmio energetico, con la campagna M’illumino di meno di Caterpillar-Radio 2. Avete sentito la sigla dei Mau Mau? Divertentissima. E sull’onda di questo divertimento, la mia anima ambientalista si è entusiasmata ed ha pensato ad un piccolo evento per sensibilizzare gli amici e organizzare una serata per loro. La campagna M’illumino di meno chiede di aderire con un gesto simbolico: spegnere le luci dalle ore 18 in poi (aderiscono anche tanti comuni italiani, come Torino che spegnerà le luci della piazza principale e della Mole Antonelliana, e città straniere che spegneranno i centri storici). Ci pensate? Anche dalle piazze delle città si potranno finalmente vedere…le stelle! Io per i miei amici ho pensato ad una cena a lume di candela, chissà se ci sentiremo tutti romantici, e un tappeto musicale che inizia con la canzone dei Mau Mau, e poi un menù con prodotti siciliani a km zero ( e qui sono avvantaggiata, la Sicilia offre a profusione pesce, formaggi di produzione artigianale, frutta e verdura meravigliosa). Non userò il forno elettrico per cucinare, ma solo un veloce passaggio sui fornelli, e cercherò di animare la conversazione sul tema del risparmio energetico. Per dolce, servirò una fonduta di cioccolato sciolta lentamente sul fornello ad alcool, al centro del tavolo, e ognuno potrà intingervi frutta, noci e biscotti, come intorno ad un focolare in miniatura. La Sicilia è un’isola fortunata, baciata dal sole e accarezzata dai venti e dalle onde del mare, piena di energia della sua gente: serve solo un pizzico di consapevolezza.
Quindi venerdì sera, noi brilleremo di più e ci illumineremo di meno!

Ti spremo e ti butto via


Ieri sono entrata in una pasticceria della zona del santuario, vicino al museo archeologico che custodisce la Venere Landolina. La zona, nel centro della città nuova, è ricca di parchi e giardini, da cui spuntano esuberanti piante di agrumi cariche di frutti come alberi di natale, e nell’aria si diffonde il profumo dolce delle zagare.
Nello scegliere la pasticceria, ero stata attirata dai cartelli accanto all’ingresso: frullati, granite di produzione propria, spremute. Entro, e già pregustandola chiedo una spremuta di arance: siamo in febbraio, fa freddo, facciamo scorta di vitamina C, mi dico. Un barista indolente, prende uno spremiagrumi di plastica, presumo comprato a 1 euro su un banco al mercato, e inizia a spremere un’arancia moscia e ammaccata: si accorge che è guasta e la butta via con gesto plateale mentre io lo guardo perplessa. Ne prende un’altra, sempre moscia e rinsecchita, comincia a spremere, ma anche questa mostra venature marroncine nella polpa, e la fa volare nella pattumiera. Con la terza arancia va meglio, è bruttina a vedersi ma sembra commestibile, e spreme. Alla fine riesce a servirmi qualcosa che posso definire spremuta di arancia. Esco dal locale sconcertata: mi trovo nella regione che produce le migliori arance del Mediterraneo, al mercato costano 50 centesimi al chilo e sono bellissime, grandi da non credere, dolci e squisite, sono uno dei tesori della Sicilia. Ancora una volta, il divario tra le aspettative e la realtà si fa incomprensibile.

giovedì 7 febbraio 2008

Amore/odio


Amo gli orizzonti vasti del paesaggio siciliano, che con una sola occhiata puoi andare dal mare al vulcano innevato, amo il cielo blu intenso, le notti buio profondo in cui ti sembra che le stelle ti piovano addosso. Amo il profumo di mare quando parcheggio la macchina al porto, e il profumo della terra che ha il sentore caldo della cannella, della liquirizia e di biscotto. Nella mia città emiliana, mi mancavano molto questi profumi, e la nostalgia della Sicilia, da bambina, era per me prima di tutto nostalgia olfattiva.
Amo la presenza dei fiori tutto l’anno, gli alberi che non perdono le foglie in autunno, il profumo del seducente gelsomino che diventa più intenso di notte, i pettirossi e le ghiandaie che visitano il mio giardino golosi di fichi d’india. Amo i colori di Siracusa, il turchese del mare e il sabbia dei palazzi barocchi e del Castello Maniace di Ortigia.
Odio…le cartacce al bordo delle strade, che ti costringono a tenere lo sguardo a un metro da terra per non turbare la bellezza della campagna. Odio i sorpassi azzardati con il telefonino in mano, la guida anarchica e prepotente, quando si arriva alle rotonde e pare che l’unico modo per decidere a chi tocca passare sia un gioco di sguardi. Odio le spiagge coperte da un tappeto di bottiglie di plastica, pannolini, ciabatte spaiate. Le case costruite sulla scogliera, con gettate di cemento che arrivano al mare, e impediscono di raggiungere le spiagge, privilegio di pochi. Mi dibatto tra bellezza e squallore di quest’isola incantata, e cresce in me questo sentimento di amore/odio.

Ortigia, l'isola nell'isola


Passeggio senza una meta tra i vicoli di Ortigia, l’isolotto su cui approdarono i coloni greci di Corinto nel 733 a.C. Si respira l’atmosfera del Mediterraneo: i templi greci, i palazzi di calcare bianco e abbagliante che si stagliano su un cielo indaco, i vicoli tortuosi e i giardini nascosti da cui di tanto in tanto sfugge un ramo di profumato gelsomino. Le vetrine dei panifici mi ricordano la Turchia e l’Egitto: panini di forme curiose ricoperti da semi di sesamo (la giuggiulèna, come dicono qui) i frutti di Martorana, ovvero pasta di mandorle lavorata fino ad ottenere la forma e i colori della frutta che per un momento l’occhio si illude di vedere. Il mercato è uno dei luoghi che preferisco: bancarelle cariche di frutta e verdure a volte sconosciute, botteghe di spezie colorate e dal profumo pungente che sembra di essere in Marocco. E poi i banchi del pesce: pesci spada giganti, che ti guardano con i loro occhi blu e profondi come il mare da cui sono stati strappati, spatole color argento, tonni dalle carni rosse. Qualcuno cerca di arrotondare le magre entrate e allestisce ai margini del mercato un banco di fortuna con una bacinella e qualche cartone: offre ricci, polipi vivi, qualche miscuglio di pesciolini troppo piccoli e sconosciuti. Agli odori e ai colori, si uniscono i richiami dei venditori, che scoppiano in cantilene incomprensibili, modulando la voce come fa il muezzin per il richiamo alla preghiera dall’alto dei minareti. La gente cammina con l’indolenza di chi vive al caldo, di chi percorre strade contorte e affollate, di chi è appagato dalla vita e non ha nulla da inseguire. Per qualche momento, cerco di sentirmi come loro.

giovedì 31 gennaio 2008

La mia casa in riva al mare


Vivere a pochi metri dal mare è per me un’esperienza affascinante. Invece del traffico della strada, ora il mio sottofondo musicale sono le onde del mare. Da mio piccolo giardino, mentre raccolgo le arance per l’insalata, sento il suono regolare della risacca. Oppure salgo con la piccola scala a chiocciola sul tetto, e guardo l’isola di Ortigia e le derive che escono dal porto grande. Di sera, quando il vento è forte, tutto in casa vibra e sussulta: le porte, i vetri delle finestre tintinnano come sartie e mi sembra di essere su di una barca in balia del vento. Quando soffia un forte vento di mare, e le onde stordiscono cupe e grigie, la casa viene avvolta dalla salsedine. Al primo sole del nuovo giorno, mi ritrovo come un mozzo sul ponte di una barca, con la spugna in mano, a sfregare gli infissi di legno per salvarli dalla corrosione del sale. Vivere in riva al mare è affascinante, ma molto, molto faticoso.

mercoledì 30 gennaio 2008

I luoghi di Montalbano


La scoperta dei luoghi di Montalbano può avvenire quando meno te lo aspetti. In escursione nella campagna ragusana con un gruppo di amici, esploriamo una piccola grotta nascosta da cespugli di rovi. La volta della grotta è bassa e regolare, all’interno scorgiamo il profilo di alcune tombe circondate da colonne. Appena gli occhi si abituano alla semioscurità, emergono alla memoria le immagini della tomba dei due giovani amanti, nell’episodio “Il cane di terracotta”. E’ per me uno dei racconti più belli di Camilleri, narrato con la lentezza di certe giornate siciliane. Nell’episodio, viene casualmente ritrovata in una grotta la tomba di due giovani innamorati, delicatamente abbracciati e sorvegliati da un’ impassibile statua a forma di cane. Ai loro piedi, una giara contenente dell’acqua. La scena sembra rimandare ad un preciso rituale, me chi sono i due giovani e chi ha predisposto con tanta delicatezza il loro talamo eterno?

Istantanee


Giorno, mercato, disordinate bancarelle di frutta, lucenti banchi di pesci.
Una ragazza giovane, lineamenti da bambina, sta immobile in ginocchio, jeans sdruciti e maglietta come tanti ragazzi. Ma lei sta immobile, lo sguardo a terra, regge delicatamente, forse con vergogna, un pezzo di cartone con scritte le solite parole: povera, aiutatemi, sola. La guardo, lei non ricambia, gli occhi sempre a terra. Per un attimo il mio passo rallenta, il mio percorso devia leggermente per raggiungerla. Penso a una frase, a cosa posso dirle. Poi mi guardo intorno, un fiume di gente intorno a me. Mi prende l’incertezza, un senso di impotenza. Chi sono io per pensare di salvarla? Io che non so se salverò neanche me stessa? Mi rituffo nel fiume di gente e mi lascio trasportare.

Gente di Sicilia


Non è facile definire questa gente di Sicilia. La prima cosa che mi ha colpita, è stata l’intensità degli sguardi. Quando ti guardano, lo fanno davvero. Il loro non è uno sguardo superficiale, sfuggente. Anche se solo per un attimo, mi sento trafitta dalla profondità di un’occhiata, come se fossi senza maschere e senza difese, e poi lasciata andare. I siciliani sono contraddittori come la loro splendida terra. Alcuni così intelligenti, dotati di humor e sensibilità da lasciare a bocca aperta, sguardi intensi e profondi, quasi primordiali. Altri cretini, ma veramente cretini, toccano abissi di cretinità. Non riesco ad abituarmi all’incuria con cui alcuni trattano la loro splendida terra: le spiagge coperte da un tappeto di bottiglie e piatti di plastica, i rifiuti al bordo delle strade. E una natura rigogliosa, quasi incurante, che ricopre di cuscini verdi le nefandezze dell’uomo. Questa è gente abituata a lottare, a non avere niente di certo, a farsi bastare il poco. Nella loro mente convivono l’orgoglio di una nobile e antica origine, la ricchezza di tanti popoli che qui si sono mescolati, il senso di inferiorità rispetto agli standard di altre regioni del paese. Complessità è il segno che li contraddistingue.

martedì 29 gennaio 2008

Il respiro del mare


Esistono luoghi magici, qui in Sicilia. L’area marina protetta del Plemmirio, visibile da Siracusa, è uno di questi. Un mare puro e ondoso incontra la scogliera alta e solitaria. Mi siedo sulla falesia a picco sulle onde, in lontananza qualche barca a vela sussulta come un guscio di noce in balia dei flutti. Le onde si infrangono con esuberanza, disperdendo nell’aria goccioline che vibrano per un attimo dei colori dell’arcobaleno. Le rocce ai miei piedi mostrano un reticolo di fessure, infilo piano le mie dita e sento il respiro del mare…profondo, calmo, ad ogni onda sento l’aria che attraversa la volta della grotta marina su cui sono stesa, e arriva a me con forza ipnotica. Per un momento, dimentico chi sono, adesso esiste solo la magia del mare.

Diario di un anno vissuto in Sicilia


L’avventura inizia circa un anno fa, quando per un trasferimento di lavoro mi ritrovo a vivere nella provincia più a sud d’Europa, a Siracusa. L’impatto è forte, di quelli che lasciano storditi: la luce intensa, i colori saturi del cielo, del mare, della vegetazione, la roccia bianca dei templi e dei palazzi, delle cattedrali che sembrano cesellate nella sabbia chiara. A me, abituata al clima della pianura padana, l’esplosione di luce e colori mi fa sentire sotto l’effetto di una droga che potenzia le sensazioni. Capisco di essere sbarcata in una terra ricca di contrasti, non sempre facili da tollerare. I contrasti tra la bellezza del paesaggio e l’incuria con cui è gestito. Nel raggio di pochi chilometri, sulla costa, convivono ignorandosi un pericoloso polo petrolchimico e una meravigliosa area marina protetta, ricca di splendidi pesci e coralli. Nella stessa città, accanto al teatro greco che sovrasta il mare, si alzano palazzi orrendi e cadenti, immersi in un traffico disordinato di auto e scooter. La vegetazione copre con fioriture perenni i rifiuti ai margini delle strade. Bellezza e squallore si fronteggiano continuamente, creando uno stato confusionale in chi arriva per la prima volta.